Alti consumi di carne rosse e di carni lavorate come gli insaccati sono considerati oggi un fattore di rischio per il tumore del colon-retto, tra i più diagnosticati nel mondo e il secondo più frequente nel nostro paese, (dopo quello della prostata) e tra quelli che registrano i maggiori incrementi, come ha confermato il Rapporto dell’Osservatorio sulla Salute delle Regioni Italiane del 2020.
Ma c’è ora qualcosa di più: arriva in proposito una notizia importante che leggiamo sul supplemento ONCOLINE di Repubblica: “Per la prima volta un consumo elevato di carne rossa, processata e non, è stato associato a un danno al Dna in pazienti con un tumore al colon-retto. Lo studio, pubblicato su Cancer Discovery – rivista scientifica dell’American Association for Cancer Research – e condotto da Marios Giannakis, docente di medicina all’Harvard Medical School, Oncologo del Dana-Farber Cancer Institute, fornisce così una possibile spiegazione a quello che molti studi epidemiologici evidenziano da tempo”.
L’articolo prosegue circostanziando l’origine dei dati con il ricercatore “Nel 2015, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) inseriva la carne rossa tra gli agenti cancerogeni per gli esseri umani, sollevando però non poche polemiche: gli studi sull’argomento hanno continuato a susseguirsi, ora confermando ora mettendo in discussione la conclusione della IARC”.
La ricerca ha coinvolto 900 pazienti. “Uno dei punti di forza dello studio è la qualità delle informazioni sulla dieta che abbiamo ottenuto – sottolinea Giannakis – che sono state raccolte in modo prospettico, cioè non a posteriori e quindi senza errori dovuti a ricordi non veritieri, attraverso questionari ampiamente validati”. Il consumo mediano di carne rossa di questi pazienti prima della malattia era di 150 grammi al giorno. All’interno dei questionari le domande riguardavano il consumo di “manzo o agnello come piatto principale”, “maiale come piatto principale”, “hamburger”, “sandwich o piatti misti con manzo, maiale o agnello” per quanto riguarda le carni rosse non lavorate, e di “bacon”, “hot dog di manzo o maiale”, “panini con salame, mortadella o altri salumi” e “altra carne lavorata come salsiccia, kielbasa, ecc.” per quanto riguarda le carni lavorate”.
Anche gli esperimenti in modelli animali hanno suggerito che la carne rossa possa promuovere la formazione di composti cancerogeni per il colon-retto, ma mancavano le prove di quale potesse essere il meccanismo molecolare alla base dello sviluppo del tumore. Il nuovo studio cerca di colmare, almeno in parte, questa lacuna: “Abbiamo identificato – prosegue Giannakis – per la prima volta un insieme di mutazioni, nei tumori di colon-retto prelevati dai pazienti, che sono associate a un elevato consumo di carne rossa prima della diagnosi. I nostri risultati supportano un possibile ruolo cancerogeno di questo alimento nello sviluppo del tumore al colon-retto”.
Lo studio è descritto in modo approfondito anche da da GREENME “Per identificare i cambiamenti genetici associati all’assunzione di carne rossa, i ricercatori hanno eseguito il sequenziamento dell’intero esoma (il complesso multiproteico presente nelle cellule NDR) su coppie di campioni tumorali non trattati primari abbinati, da 900 pazienti con CRC che hanno partecipato a tre studi prospettici (il Nurses’ Health Studies I e II – NHS – e lo studio di follow-up degli operatori sanitari – HPFS). Ogni paziente aveva precedentemente fornito informazioni sulla propria dieta, stile di vita e altri fattori nel corso di diversi anni prima della diagnosi di cancro del colon-retto e per verificare se i componenti dietetici hanno contribuito alla firma alchilante nel CRC, hanno sfruttato misurazioni ripetute raccolte prospetticamente di carne, pollame e consumo di pesce in grammi al giorno nelle coorti NHS e HPFS.
L’analisi del team dei dati di sequenziamento del DNA ha rivelato la presenza di diverse firme mutazionali nel tessuto del colon normale e canceroso, inclusa una firma indicativa di “alchilazione”, una forma di danno al DNA. La firma alchilante era significativamente associata con l’assunzione, in prediagnosi, di carne rossa lavorata o non trasformata, ma non con l’assunzione, sempre in pre-diagnosi, di pollame o pesce, o con altri fattori di stile di vita. E in contrasto con i risultati per il consumo di carne rossa, altre variabili dietetiche (assunzione di pesce e pollo) e fattori di stile di vita, tra cui indice di massa corporea, consumo di alcol, fumo e attività fisica, non hanno mostrato alcuna associazione significativa con la firma alchilante”.
Abbiamo chiesto un commento sulla notizia al Dott. Emanuele Rinninella (Dirigente Medico, UOC Nutrizione Clinica, Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCSS)
“La notizia dell’identificazione di una “firma mutazionale” nei tessuti di colon (normale o canceroso) di soggetti che per anni hanno fatto largo consumo di carni rosse (processate o non), aggiunge un tassello importante al lungo dibattito sulla potenziale cancerogenicità della carne rossa. La mutazione genetica che si verifica infatti in questi tessuti è stata ampiamente associata con lo sviluppo di cancro del colon retto. La numerosità campionaria (900 pazienti), data dalla confluenza di tre grossi studi di popolazione (per un totale di oltre 280.000 soggetti coinvolti), offre di fatto solidità alla forza statistica di questa associazione”.
“Dottor Rinninella, che risvolti pratici può avere questa notizia sulla nostra dieta quotidiana? Dobbiamo eliminare le carni rosse”?
“No, lo studio non porta di per sé a questa conclusione.” risponde il Dott. Rinninella “Va intanto chiarito che nello studio di Giannakis, condotto negli Stati Uniti, l’associazione tra la mutazione genetica ed il consumo di carni rosse è stata dimostrata solo nei tessuti di soggetti che per anni, prima della diagnosi, avevano assunto praticamente ogni giorno una porzione standard (150 grammi) di carne rossa o carni processate, quota ben lontana dalle nostre abitudini in Europa ed in particolare in Italia. Inoltre, non è stato ovviamente possibile specificare la provenienza del bestiame ed il tipo di allevamento. Sappiamo infatti che la qualità ed il potenziale ossidativo cellulare dell’alimento dipendono fortemente da ciò che mangia l’animale (es. erba o cereali industriali), dalle condizioni di allevamento e dall’utilizzo di antibiotici. Nello studio non sono stati poi presi in considerazione altri elementi tipici della dieta americana (stile alimentare “Western-type”) quali il consumo di grassi saturi, sale, e additivi alimentari, associati anch’essi a diverse patologie cronico-infiammatorie. Non è stato inoltre discriminato l’effetto del consumo di alimenti antiossidanti come frutta, cereali integrali e verdura, tipici della nostra dieta mediterranea. L’assunzione moderata di carne rossa (es. 1 volta a settimana), specialmente se da allevamenti non intensivi, insieme ad una adeguata quota di cereali integrali e legumi (fonti di fibre), pesce ed olio di oliva (fonti di acidi grassi polinsaturi della serie omega3 e di polifenoli antiossidanti) è alla base di uno stile alimentare sano e completo. La carne rossa è non solo fonte di proteine ad alto valore biologico ma anche di vitamine del gruppo B (in particolare la B12) e di ferro ad elevato assorbimento (ferro eme). Ciò è particolarmente importante da sottolineare soprattutto per i pazienti fragili o affetti da cancro, che spesso tendono ad evitare completamente carne e prodotti animali. Va ribadito ancora una volta che la perdita di massa muscolare e la malnutrizione sono in questi casi un fattore prognostico negativo per la sopravvivenza e la qualità della vita. È dunque essenziale, come emerge anche dalle conclusioni dello studio, agire in termini di prevenzione, promuovendo uno stile di vita nutrizionalmente sano”.