La ricerca cambia la vita? Sì, la ricerca scientifica, in particolare la ricerca farmacologica, può cambiare – in meglio – le nostre vite. Anzi, lo fa già, ogni giorno. Ce lo mostra, in modo documentato, il CLINICAL TRIALS DAY, l’evento promosso dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola. E lo ha fatto mettendo sotto i riflettori i “10 Farmaci e 10 Dispositivi che hanno cambiato la storia della medicina negli ultimi 10 anni” come ci racconta un bellissimo video a cura di Medicina & Informazione.
Eccone alcuni passaggi tra i più significativi. “Abbiamo voluto fare il punto sui nuovi farmaci e nuovi dispositivi importanti per il progresso della medicina dedicata al paziente” introduce il Prof. Antonio Gasbarrini (Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore Scientifico della Fondazione Gemelli IRCCS). “Perché? perché sono farmaci (o device) che hanno cambiato il modo di essere medici, hanno cambiato la percezione che abbiamo di alcune malattie. Esempi: il melanoma, una malattia fino a pochi anni fa veramente micidiale, con una bassissima sopravvivenza e senza armi terapeutiche. Pensate al tumore dell’ovaio, al tumore del pancreas, al tumore del polmone o a malattie autoimmuni come artrite reumatoide, psoriasi, colite ulcerosa, Crohn prosegue il Prof. Gasbarrini.
L’elenco è lungo, dieci anni di successi in ricerca che il Professore riassume per noi, citandone solo alcuni tra i più significativi “Alcune malattie rare dove ora abbiamo dei farmaci terapeutici, adeguati sia nelle malattie rare del bambino che dell’adulto. O nel mondo dell’oncologia quella rivoluzione in corso che sono le terapie cellulari o le cosiddette CAR-T, dove andiamo a ingegnerizzare delle cellule per far sì che queste cellule possono riconoscere e combattere direttamente i tumori: il massimo della medicina personalizzata.
Dall’altra parte i dispositivi. Pensate alle protesi cocleari (un ‘orecchio artificiale’ elettronico in grado di ripristinare la percezione uditiva nelle persone con sordità profonda NDR), che rendono i bambini capaci di interloquire con l’esterno. Pensate alle valvole cardiache che ci permettono di fare gli interventi di chirurgia mininvasiva, di superare delle problematiche importantissime nelle valvulopatie congenite o quelle conseguenti alla malattia reumatica (…) Pensate alle protesi che utilizziamo negli aneurismi dell’aorta o ai robot, che rendono, ad esempio un tumore della prostata aggredibile in maniera meno invasiva (…) farmaci e dispositivi che non avremmo potuto mai realizzare se non ci fosse stata una sinergia fortissima tra gli ospedali, le università e le aziende, farmaceutiche e di device, che li hanno sviluppati. Alla fine di tutto questo chi c’è? c’è il paziente.”
È fuor di dubbio, come afferma il Prof. Gasbarrini nell’ultima parte della sua intervista, che è “la tecnologia la grande protagonista dei progressi della medicina, soprattutto in campo diagnostico e chirurgico. Su tutti la chirurgia, meno invasiva e robotica.”
E di chirurgia ci parla il Prof. Sergio Alfieri, (Ordinario di Chirurgia Generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore Area Clinico-Scientifica dell’Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola).
“Nel mio campo, la rivoluzione che ha veramente cambiato l’approccio del chirurgo e i benefici per il paziente è stata la chirurgia mininvasiva. Ormai sono decenni che la chirurgia laparoscopica, con questa tecnica con la quale entriamo all’interno del nostro organismo con dei fori molto piccoli – piuttosto che l’incisione classica da 5 mm o da 1 cm – ci dà la capacità di poter fare gli stessi interventi chirurgici che venivano fatti – e in parte ancora oggi vengono fatti – in maniera tradizionale. Con quali vantaggi? Prosegue il Prof. Alfieri “la maggiore accuratezza e un ritorno più veloce del paziente, del cittadino, alla sua vita quotidiana. Quali sono le ultime innovazioni in questo ambito tecnologico dei dispositivi? È la chirurgia robotica. Qual è il vantaggio del robot nel campo medico e nella chirurgia? Innanzitutto, integrerei il robot all’ intelligenza artificiale e alla medicina digitalizzata. Il vantaggio è la possibilità di personalizzare la cura chirurgica per un determinato paziente. L’intelligenza artificiale e la medicina digitale – senza dimenticare la mente umana – fa sì che per il singolo paziente possiamo dare – con un’approssimazione superiore al 95% – la terapia chirurgica appropriata per quel paziente.”
Ma la ricerca tecnologica applicata alla chirurgia non si è fermata qui “Con la chirurgia robotica, la magnificazione (ingrandimento NDR) dell’immagine è molto superiore rispetto alla chirurgia laparoscopica” sottolinea il Prof. Alfieri. “Il chirurgo può effettuare le dissezioni in modo molto più accurato, con un beneficio, ad esempio per gli interventi di chirurgia oncologica dei tumori, ancora più radicale.
Che vuol dire più radicale? che riesce a portar via, vedendo meglio, tutte le neoplasie. Essendo ancora più accurati, riducendo i sanguinamenti, intraoperatori e postoperatori (che poi influiscono anche questi sulla sopravvivenza) e poi aumentare quello che noi chiamiamo con questo termine anglofono, gli outcome, i risultati. Il paziente ha meno dolore, può camminare subito il giorno dopo l’intervento, torna prima a casa, può riprendere prima l’attività lavorativa e ne ha anche un vantaggio oncologico: si è visto che con la chirurgia robotica soprattutto in campo oncologico, si riesce ad essere più efficaci nel trattamento di queste malattie.”
Abbiamo visto quindi come la ricerca e i trials clinici offrano migliori opportunità di cura per i pazienti. Ma per spingere avanti le frontiere della medicina, nuove figure professionali sono essenziali, in particolare, per gestire e condurre il protocollo di ricerca in modo rigoroso, oltrechè accompagnare i pazienti nel loro percorso di cura: gli ‘study coordinator’ e gli ‘study nurse‘.
Ce ne parla la Dr.ssa Vincenzina Mora (Responsabile del Clinical Trial Office – CTO della Fondazione Gemelli IRCCS).
“Condurre i trial clinici è fondamentale per poter arrivare all’immissione in commercio di nuove terapie, quindi alla fase registrativa di nuovi farmaci. Ci sono vari step: si parte dalla fase 1 per arrivare fino all’ultima fase, la fase 4, e sono tutti step seguiti rigorosamente da uno staff competente che si prende cura del paziente. Il paziente è sempre al centro. La primissima fase, dopo aver steso un protocollo preciso con criteri rigorosi, è quella di sottomettere questo protocollo al comitato etico, per cui nulla viene fatto se non è stato preliminarmente approvato da un comitato etico e nulla viene fatto se il paziente non è stato adeguatamente informato ed ha sottoscritto primissimo step, ovvero il consenso informato. In cui dichiara di aver ben compreso tutto quello che comporta partecipare a uno studio clinico.”
“A seguire, prosegue la Dr.ssa Mora, entra in gioco un team che sta intorno al paziente e lo supporta in qualsiasi necessità, sia dal punto di vista medico che infermieristico che organizzativo. Tutte le figure che, oltre a quella clinica, sono fondamentali per condurre in sicurezza un trial. Parliamo della figura dello study coordinator e dello study nurse. Study coordinator, lo dice il termine stesso, coordina a 360° tutte le attività previste, tutto ciò che si deve fare nell’ambito di quel protocollo di ricerca, nell’ambito di quello studio clinico e supporta dall’inizio alla fine tutti gli attori della sperimentazione.
Tutti i farmaci che attualmente sono di uso comune hanno tutti seguito questo stesso iter e quindi sono tutti transitati da una sperimentazione, condotta con lo stesso rigore metodologico e seguendo le regole della Good Clinical Practice. Ci sono farmaci che hanno cambiato radicalmente la gestione di alcune patologie, di alcune in alcune aree terapeutiche. Quindi quelli che oggi stiamo sperimentando, quelli che oggi sono trial clinici, saranno invece i farmaci del futuro.”




