Una patologia non ancora abbastanza nota ma di crescente incidenza: l’esofago di Barrett. Per conoscerla meglio abbiamo rivolto qualche domanda alla Dr.ssa Silvia Pecere (Specialista Gastroenterologa, Endoscopia Digestiva Chirurgica, CEMAD Gemelli IRCCS) che ringraziamo per la disponibilità.
D “Come si definisce l’esofago di Barrett?”
“L’esofago di Barrett è una patologia che colpisce prevalentemente soggetti affetti da malattia da reflusso gastroesofageo cronico” è la risposta della Dr.ssa Pecere, che prosegue “in pazienti con fattori di rischio che possono andare dalla genetica, all’obesità alla presenza di un’ernia iatale, ma è soprattutto la patologia da reflusso gastroesofageo associato ad esofagiti recidivanti/ricorrenti il fattore di rischio principale, che nel tempo determina una trasformazione del normale epitelio esofageo in un epitelio di tipo intestinale, più resistente, definito metaplasico. In sintesi, l’esofago di Barrett è una metaplasia di tipo intestinale dell’epitelio esofageo in seguito all’insulto cronico del reflusso gastroesofageo in soggetti predisposti.”
D “Patologico quindi?”
“La metaplasia di per sé non è una patologia preoccupante – chiarisce la Dr.ssa Pecere – ma necessita di sorveglianza endoscopica perché potrebbe andare incontro, se non controllata, a delle ulteriori evoluzioni che sono rappresentate dalla displasia di basso o alto grado che è invece una condizione precancerosa.”
D “Quali sono i numeri per quanto riguarda l’esofago di Barrett?”
Pecere “Diciamo che normalmente in Europa può raggiungere anche il 5% della popolazione generale, ma quello che è importantissimo è che – se compare la displasia è necessario riferirsi a un centro di riferimento e procedere con i trattamenti endoscopici – in caso di displasia di alto grado l’insorgenza di cancro raggiunge anche il 6% all’anno.”
D “Abbiamo parlato del rischio di sviluppare un adenocarcinoma e di come siano importanti i controlli una volta ci sia il sospetto di una diagnosi di Barrett. Rispetto a questi scenari, che cosa c’è di nuovo?
Pecere “In primo luogo i trattamenti endoscopici che si fanno per la displasia; quando compare la displasia noi siamo in grado di trattare endoscopicamente il paziente (parliamo di un trattamento mininvasivo) quindi attraverso una gastroscopia, inserendo dei cateteri che consentono la rimozione di queste aree di metaplasia con displasia. Questo permetterà che successivamente possa riformarsi un epitelio di rivestimento esofageo assolutamente normale.”
D “Questo tipo di terapia endoscopica in che condizioni si svolge? Richiede il ricovero?”
Pecere “Normalmente richiede un ricovero molto breve, quindi spesso un giorno o due al massimo. Utilizziamo cateteri che possono avere forme e caratteristiche differenti e che, attraverso l’erogazione di un’energia termica (ad esempio l’ablazione con radiofrequenza) permettono di ‘bruciare’ aree patologiche che poi si ripristinano come aree normali.
Ma oltre all’ablazione con radiofrequenza, che resta il Gold Standard di trattamento, una novità assoluta è la crioablazione: un trattamento ablativo che va ad asportare queste aree patologiche non più con un effetto termico ma con un effetto esattamente opposto, attraverso la l’erogazione di protossido di azoto. Così si va a determinare un effetto ischemico, dovuto appunto all’effetto crio su queste aree di mucosa, che successivamente anche in questo caso si ri-epitelializzano come normali.”
D “Qual è il follow up dopo questa terapia?”
Pecere “Normalmente si fanno dei controlli entro 2/3 mesi dopo i trattamenti, soprattutto perché a seconda dell’estensione dell’esofago di Barrett potrebbero essere necessari uno o più trattamenti, fino alla completa eradicazione della displasia e della metaplasia enteroide.
D “Il quadro è già molto completo: oltre alle novità nel trattamento – molto importanti – cosa vogliamo sottolineare su questa problematica e le soluzioni più attuali che ci ha rappresentato?”
Pecere “Non sottovalutare il reflusso. Soprattutto se è cronico, se ci sono sintomi non sporadici che persistono in maniera continuativa per più di 3/6 mesi e che non rispondono alle classiche terapie sintomatiche del reflusso.
A volte, il Barrett è difficile da diagnosticare, ma anche da sorvegliare nel tempo, perché sono necessarie strumentazioni ad alta definizione e dei protocolli istologici ben definiti. Ci troviamo quindi spesso di fronte a pazienti che arrivano già con delle lesioni nodulari precancerose o addirittura cancerizzate. In questo caso non possono eseguire l’ablazione perché ci sono già delle aree target che noi chiamiamo target nodulari su Barrett.
In questo caso i pazienti possono essere avviati alla dissezione endoscopica sottomucosa (ESD), che è una procedura invece resettiva. Si tratta di una procedura endoscopica che prevede la resezione in un unico frammento dell’area nodulare target per poi avere un referto istologico definitivo su quel campione. Se la lesione asportata è un adenocarcinoma precoce, ovvero non infiltrante i piani profondi della dissezione, l’endoscopia è risolutiva, per cui anche in questo caso il paziente è curato attraverso il trattamento endoscopico e non deve fare trattamenti aggiuntivi se non controlli endoscopici periodici.
Il nostro take home message è quindi molto semplice- conclude la Dr.ssa Pecere – non perdiamo tempo perché ci sono delle terapie risolutive a livello endoscopico per il trattamento dell’esofago di Barrett, disponibili nei centri di riferimento quali l’Endoscopia Digestiva Chirurgica del CEMAD.”




