I titoli, anche sulla stampa “laica” si susseguono rapidi negli ultimi giorni: un generalizzato allarme sui cosiddetti “cibi ultra processati” ovvero su tutti quegli alimenti di produzione industriale a forte presenza di zuccheri, additivi chimici e raffinazione. Gli emulsionanti sono sotto osservazione in modo particolare, sostanze – in maggioranza a origine chimica – impiegate per migliorare consistenza, aspetto e tempo di conservazione dei cibi, spesso presenti in preparazioni quali barrette, creme, zuppe precotte, sughi pronti e molti altri cibi di consumo sempre più frequente.
Addirittura, qualcuno parla apertamente di “epidemia alimentare”. Ma come stanno veramente le cose? Abbiamo seguito il fil rouge della letteratura scientifica che sta occupandosene ormai da vari anni, con l’obiettivo di stabilirne il livello di pericolosità per l’organismo umano e il possibile ruolo nell’etiopatogenesi di alcuni tipi di tumore, diabete e patologie neurologiche.
Un articolo su GUT già nel 2017 apriva la strada, affermando che “…questi risultati dimostrano un nuovo paradigma di decostruzione delle interazioni ospite-microbiota e indicano che il microbiota può essere direttamente influenzato da questi additivi alimentari (nell’articolo ci si concentra su polysorbate 80 (P80) e carboxymethylcellulose (CMC) di uso comune, in modo tale da provocare uno stato infiammatorio dell’ intestino…”
Una volta identificato l’agente responsabile di questo stato alterato in questa condizione infiammatoria che troviamo all’origine di moltissime patologie e disturbi intestinali, si è andati oltre. Direttamente investigando sul possibile legame tra assunzione prolungata di cibi ultra-processati e insorgenza di patologie oncologiche. Ed ecco quanto affermano i ricercatori francesi in un articolo pubblicato nel 2024: “In questa grande coorte prospettica, abbiamo osservato le associazioni tra i più alti consumi di carragenina e mono e digliceridi degli acidi grassi con il rischio generalizzato di cancro, al seno e alla prostata in particolare. Questi risultati devono essere confermati in altre popolazioni: essi forniscono nuove evidenze epidemiologiche sul ruolo degli emulsionanti nel rischio di cancro”.
Ma anche per un’altra importante e diffusa patologia, la presenza degli emulsionanti appare quanto meno ‘sospetta’, il diabete. “Studi sperimentali hanno suggerito potenziali effetti dannosi degli emulsionanti sul microbiota intestinale, con infiammazione e perturbazioni metaboliche. Abbiamo cercato di studiare le associazioni tra l’esposizione agli additivi emulsionanti e il rischio di diabete di tipo 2 in un’ampia coorte prospettica di adulti francesi” è il punto di partenza espresso dai ricercatori della Sorbonne.
E la popolazione indagata è molto ampia, come premesso dagli autori “Abbiamo analizzato i dati di 104.139 adulti arruolati nello studio di coorte prospettico francese NutriNet-Santé dal 1° maggio 2009 al 26 aprile 2023”. I dati, anche in questo caso, sono tali da giustificare un atteggiamento di precauzione, con la disincentivazione dall’uso prolungato di tali sostanze emulsionanti.
Ecco cosa scrivono al riguardo gli autori nelle conclusioni dell’articolo “Abbiamo trovato associazioni dirette tra il rischio di diabete di tipo 2 e l’esposizione a vari additivi alimentari emulsionanti ampiamente utilizzati negli alimenti industriali, in un’ampia coorte prospettica di adulti francesi. Sono necessarie ulteriori ricerche per sollecitare la rivalutazione delle normative che disciplinano l’uso degli emulsionanti additivi nell’industria alimentare per la tutela dei consumatori”.
Un quadro piuttosto chiaro e che certo richiederà attenzione da parte delle istituzioni preposta alla salute alimentari. Ma intanto, come dobbiamo comportarci? Qual è il modo migliore per cercare di prevenire le problematiche che la ricerca scientifica evidenzia con sempre maggiore allarme? Dobbiamo cercare unicamente di limitare al massimo i consumi di tali alimenti o possiamo adottare anche altre strategie di prevenzione per “limitare i danni”?
Lo abbiamo chiesto al Dr. Emanuele Rinninella, Medico Nutrizionista presso la UOC di Nutrizione Clinica del Policlinico Agostino Gemelli di Roma. “Il consumo di questi additivi è oramai diffuso nella popolazione occidentale, in misura direttamente proporzionale al consumo di alimenti a alto grado di processazione e industrializzazione. Purtroppo, sono anche più frequenti patologie infiammatorie, cronico degenerative e neoplastiche, anche in giovane età.
Più si allontana dalla sua risorsa originale (es. carne, grano, uova, latte ecc) – chiarisce il Dr. Rininella – più l’alimento si arricchisce di additivi, edulcoranti ed emulsionanti, in grado di sostenerne forma, consistenza e durata. Un esempio tipico sono i prodotti dolciari a lunga conservazione, o i formaggi spalmabili, o gli snack proteici (oggi molto di moda anche nei banchi dei supermercati).
La prima domanda che dovremmo porci è: cosa sto mangiando? Qual è la risorsa originaria di questo prodotto? Poi passare a leggere la famosa etichetta. Qui vi è spesso un limite: ci siamo abituati a leggere le kcal, i grammi di grassi o zucchero, senza pensare che aldilà delle proprietà energetiche, l’alimento processato ha in sé altre variabili, quali ad esempio gli additivi.
Quelli finora associati allo sviluppo di patologie infiammatorie sono appartenenti alla classe degli edulcoranti (aspartame, acesulfame) e degli emulsionanti (mono e digliceridi degli acidi grassi, carragenina, polisorbato 80, carbossimetilcellulosa).
Purtroppo per tali additivi non esiste una soglia al di sopra della quale siamo in grado di dire che siano dannosi, in quanto non esistono studi di “dose-finding” essendo per definizione tali studi “non etici” in campo umano.
Pertanto, la loro quantità semplicemente non è riportata in etichetta. Tuttavia, dagli studi di popolazione citati, emerge chiaramente una associazione significativa tra l’assunzione di tali sostanze e lo sviluppo di patologie infiammatorie, metaboliche e neoplastiche.
La raccomandazione è dunque sempre quella di preferire alimenti freschi, possibilmente a basso grado di processazione e di valutare sull’etichetta del prodotto industriale non solo le calorie ma anche gli eventuali additivi. L’attenzione del consumatore è sempre l’arma più efficace per ridurre i rischi di una alimentazione nociva e perché no – migliorare anche la qualità dell’offerta.”