Lo sviluppo della ricerca nel campo della terapia farmacologica delle MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, IBD nell’acronimo inglese) ha conseguito formidabili risultati negli ultimi anni. Trattamenti sempre più sicuri ed efficaci si stanno rendendo rapidamente disponibili.
Sul tema dei loro possibili effetti indesiderati – sempre più rari, peraltro – abbiamo voluto ascoltare il parere del Dr. Gionata Fiorino (UOS MICI, Osp. San Camillo-Forlanini, Roma). L’intervista integrale è disponibile sul nostro canale YouTube.
“Abbiamo diverse terapie, ormai efficaci, rapide, sicure, però per ogni terapia c’è un risvolto in termini di effetti collaterali o rischi, che in realtà con le nuove terapie sono molto bassi rispetto ai farmaci che usavamo 10 o 20 anni fa
L’accento è in particolare sul rischio trombotico, prosegue il Dr. Fiorino, cioè di trombosi dei pazienti con malattia infiammatoria, dove in realtà la malattia infiammatoria di per sé è uno dei maggiori fattori di rischio di trombosi, quindi curarla efficacemente riduce questo rischio.
L’altra problematica su cui siamo focalizzati è il rischio infettivo, su cui ribadisco è importante la prevenzione; quindi, lo screening delle malattie infettive che potrebbero essere occulte, ma nello stesso tempo anche le vaccinazioni sono raccomandate dalle linee guida: vaccinazioni contro l’influenza, lo pneumococco, l’epatite B, il Covid e quindi la prevenzione riduce ovviamente i rischi legati all’immunosoppressione e alle terapie.”
D “C’è qualcosa che possono fare anche i pazienti con diagnosi conclamata, per rendere più facile il processo che lei ci ha descritto?”
Fiorino “Il paziente sicuramente può fare tanto. Innanzitutto, per prima cosa, rivolgersi a un centro di eccellenza. Le società scientifiche possono fornire la lista dei centri, ed è importante anche rivolgersi alle associazioni dei pazienti, con grande conoscenza dei centri, per mettere in comune esperienze e far sentire il paziente meno solo.
Affidandosi a un centro di riferimento, sicuramente verrà pianificato un percorso che va dalla diagnosi, alla cura, alla prevenzione dei rischi e anche alla prevenzione delle complicanze a lungo termine da malattia.”
D “Le associazioni hanno un ruolo importante anche per fare educazione, far sì che certi sintomi siano portati all’attenzione del medico di famiglia innanzitutto, ce lo conferma?”
Fiorino “Esatto, AMICI ad esempio è una delle associazioni più rappresentative, le associazioni dei pazienti hanno questo ruolo anche di formazione del paziente.
La cosa da non fare è andare su Google e cercare informazioni perché molte delle informazioni possono essere sbagliate oppure legate a dei conflitti di interesse, per cui l’associazione dei pazienti in genere dà invece un’informazione trasparente, corretta.
Quando c’è un dubbio ci si può rivolgere a loro, ma in primo luogo è importante rivolgersi al gastroenterologo di fiducia, al team che prende in carico il paziente, e quando non lo si conoscesse ancora, il medico di base può fare da raccordo.”
Nell’intervista con il Prof. Tommaso Sanna (Direttore UOC Cardiologia Intensiva, Fondazione Gemelli IRCCS) abbiamo ulteriormente approfondito il tema delle possibili complicanze delle terapie delle IBD/ MICI, più significative dal punto di vista cardiologico, ecco una sintesi della sua intervista video.
“La più pericolosa è la miocardite fulminante, sottolinea il Prof. Sanna, una condizione che pone i nostri pazienti a rischio di vita e, soprattutto, colpisce persone molto giovani, quindi connotando di ulteriore traumaticità il quadro clinico.
Spesso richiede il ricorso delle assistenze meccaniche a circolo quali ECPELLA, ECMO, e l’attivazione di una macchina diagnostica e terapeutica estremamente complessa, perché la condizione è mortale e i pazienti sono tutti giovani.
D “Parliamo di una condizione che può essere meglio fronteggiata in un grande centro?”
Sanna “Assolutamente, infatti il suggerimento che mi sentirei di dare ai colleghi che lavorano sul territorio o che lavorano in centri che non sono dotati della capacità di poter fare assistenze meccaniche di opzione miocardica, è quella di centralizzare i pazienti nei centri di terzo livello alle prime avvisaglie di questa condizione clinica così pericolosa.
D “Esistono poi degli effetti indesiderati che sono anche di un grado meno grave, come si possono affrontare?”
Sanna “Questi quadri minori possono essere gestiti in strutture più periferiche, ma con la consapevolezza che nell’arco di poche ore questi quadri possono virare in modo drammatico. Quindi va bene gestirli anche in strutture più periferiche ma con un livello di attenzione molto elevato per intercettare appena si dovessero presentare i primi segni di peggioramento. Quelle che più ci preoccupano, come dicevo, sono le complicanze acute. I più comuni fattori di rischio cardiovascolare sono tutti gestibili in modo tranquillo e abbastanza standardizzato.”
D “C’è qualcosa che il paziente può fare per cercare di ridurre i rischi?”
Sanna “Non può fare nulla per ridurre i rischi, ma può fare molto per intercettare precocemente queste situazioni qualora si dovesse rappresentare. Se dovesse notare un cambiamento del suo quadro sintomatologico, in particolare se dovesse comparire dolore toracico o difficoltà respiratoria: immediatamente prendere contatto con il curante o recarsi presso il pronto soccorso di riferimento.”
Anche il rene può essere bersaglio di alcune complicanze in corso di trattamento. Ne abbiamo parlato nell’intervista con il Dr. Andrea Spasiano (Università di Verona, Divisione di Nefrologia).
“Sappiamo che essenzialmente le IBD sono gravate da un importante rischio di nefrotossicità correlato ai farmaci che vengono tipicamente utilizzati, ci conferma il Dr. Spasiano.
“Il problema principale è che molto spesso la diagnosi di queste condizioni patologiche, di queste nefrotossicità è tardiva perché non viene effettuato un adeguato monitoraggio della funzionalità renale.
Quello che consiglio è essenzialmente di monitorare anche semplicemente con una creatinina e con un esame urine, quindi magari con una proteina delle 24 ore, la funzionalità renale. In maniera tale da fare una diagnosi precoce di questa condizione patologica potenzialmente fatale e di poter iniziare al più presto un management multidisciplinare che coinvolge sia il gastroenterologo che il nefrologo.
Soprattutto nei pazienti IBD, che sono molto spesso pazienti con più comorbidità, è necessario valutare un’eventuale evoluzione di preesistente insufficienza renale cronica così come ulteriori farmaci che possono determinare un danno renale.”
D “Quali sono i peggiori nemici dei nostri reni?”
Spasiano “La mancanza di un’adeguata idratazione, che inevitabilmente può portare a un danno renale. Ma anche farmaci analoghi a quelli utilizzati nell’ambito dell’IBD: i cosiddetti FANS, cioè i farmaci antiinfiammatori non steroidei, tipicamente l’aspirina (ma anche il semplice ibuprofen) che possono determinare un danno dal punto di vista della vascolarizzazione e del flusso renale, determinando un danno e la comparsa di malattia renale cronica.”