Il SEIEVA (Sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta) coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità affianca il Sistema Informativo delle Malattie Infettive, approfondisce ogni anno gli aspetti epidemiologici delle infezioni acute da epatite virale, in Italia.
Nell’ultimo numero del bollettino (marzo 2024) viene presentato l’andamento dell’incidenza delle epatiti virali A, B e C (con descrizione dei casi notificati nel 2023) e un approfondimento sull’epatite delta (HDV). Vediamolo in dettaglio.
Nel 2023 sono stati notificati al SEIEVA 267 casi di Epatite A, evidenziando un trend in crescita rispetto all’anno precedente. Le regioni che hanno registrato il numero maggiore di casi (vedi cartina) sono state nell’ordine: Lombardia (55), Toscana (43), Emilia-Romagna (29), Marche (28), Lazio (27). Le fasce d’età maggiormente colpite sono state quelle adulte: 35-54 (25,1%) e 25-34 anni (19,1%). I casi pediatrici sono stati 45, in lieve aumento rispetto all’anno precedente, in cui erano stati 37.La maggioranza dei casi si è verificata in soggetti di sesso femminile (59%).
I fattori di rischio più frequentemente riportati sono stati: consumo di molluschi crudi o poco cotti (35,5%), viaggi in zone endemiche (31,9%), rapporti sessuali fra uomini (24,6%) e consumo di frutti di bosco (17,4%).
Sempre nel 2023 in Italia sono stati segnalati al SEIEVA 153 nuovi casi di epatite B acuta, in aumento rispetto al 2022, anno in cui i casi erano stati 109.
Le regioni che hanno segnalato la maggior parte dei casi sono Emilia-Romagna (33 casi), Lombardia (31 casi) e Toscana (21 casi).
I soggetti più colpiti sono quelli di età compresa fra i 35 e i 54 anni, il 46,4% dei casi rientrava in questa fascia d’età e nella fascia 55-64 anni (24,8%). L’età mediana è di 53 anni (range 17-89). Come negli anni passati si osserva una maggior percentuale di casi in soggetti di sesso maschile (78,4%).
I fattori di rischio (vedi grafico) più frequentemente riportati sono l’esposizione a trattamenti di bellezza quali manicure, piercing e tatuaggi (38% dei casi), le cure odontoiatriche (28,7%) e i comportamenti sessuali a rischio (25,2%); l’esposizione nosocomiale (ospedalizzazione, intervento chirurgico, emodialisi o trasfusione di sangue) è riportata dal 19,9% dei casi.
Veniamo – sempre per il 2023 – alla segnalazione di 51 nuovi casi di epatite C acuta, 4 in meno di quelli registrati nel 2022. Le regioni con il maggior numero di casi sono state Lombardia (33,3% dei casi), Lazio (25,5%) e Veneto (9,8%).
Si osserva un maggior numero di casi tra gli uomini (72,5% dei casi) e nella fascia d’età 35-54 (vedi grafico) (52,4%), in linea con le osservazioni degli anni precedenti.
Il fattore di rischio di maggiore importanza è stato il ricorso a trattamenti estetici (manicure/pedicure, piercing e tatuaggi), riportato dal 40,4% dei casi, che ha superato per la prima volta negli ultimi anni l’esposizione nosocomiale (29,4%) che rappresentava negli anni scorsi il principale fattore di rischio. L’uso di droghe è stato registrato nel 27,1% del campione, il ricorso a trattamenti odontoiatrici nel 23,9%. Infine, l’esposizione sessuale (partner sessuali multipli o mancato uso del profilattico in corso di rapporti occasionali) si osserva in 16 soggetti fra quelli con età > 15 anni.
Concludiamo l’esame dei dati epidemiologici del 2023, pubblicati anche sul sito dedicato dell’Istituto Superiore di Sanità, con un flash sull’Epatite E.
Nel corso del 2023 ne sono stati segnalati 58 casi in totale, principalmente verificatisi nella regione Lazio (20,7% dei casi), Lombardia (17,2%), Emilia-Romagna (15,5%), Umbria (10,3%) e Abruzzo (10,3%).
Dato che il numero di casi supera lievemente quello di casi con Epatite acuta C, l’epatite E risulta essere stata nel 2023 la terza causa più frequente in Italia di epatite virale.
In linea con quanto osservato negli anni precedenti, l’infezione ha riguardato per lo più soggetti di sesso maschile (70,7%) e nel 96,5% dei casi con età > di 34 anni; 20 casi si sono verificati in soggetti anziani (età>64 anni).
Per quanto riguarda i fattori di rischio, più della metà dei casi (53,1%) ha riferito di aver consumato carne di maiale cruda o poco cotta, il 10,2% dei soggetti ha invece riportato il consumo di carne di cinghiale cruda o poco cotta, quindi con una tipologia di contagio ben diversa e specifica rispetto alle altre forme esaminate.