Frumento, celiachia e intolleranza al glutine: facciamo chiarezza

Mettere insieme mondi apparentemente distanti che affrontano con ottiche diverse lo stesso argomento: la ‘sensibilità’ al glutine, che sta esplodendo in tutto il mondo occidentale. È da questo pensiero che ha preso le mosse il congresso “Il frumento. Produzione, preparazione e consumo consapevole per il benessere intestinale” tenutosi la settimana scorsa al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS. Riprendiamo quanto ne ha scritto Gemelli News  in presentazione dell’evento.

Un incontro a più voci che per la prima volta ha messo insieme il mondo dell’agraria, della produzione, intesa come lavorazione e processazione industriale del frumento e quello della clinica.

Realtà parallele che fanno ottima ricerca, ognuna nel rispettivo settore, ma che raramente si incontrano e si confrontano. “Stiamo assistendo a livello mondiale – spiega il professor Giovanni Cammarota, Direttore della Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Associato di Gastroenterologia della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, co-presidente del congresso insieme ai professori Stefania Masci, genetista agraria, DAFNE, Università della Tuscia, Vice Presidente della Società di Genetica Agraria, e Antonio Gasbarrini, Direttore della Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Ordinario di Medicina Interna della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – a un’esplosione del marketing dei prodotti ‘gluten-free’, legata a una vera e propria ‘epidemia’ di intolleranza al glutine”.

Ma quanto c’è di ‘moda’ o di suggestione e quanto di solida realtà scientifica? “Le patologie conosciute legate al frumento (celiachia, gluten-sensitivity, allergia al frumento) – afferma il professor Cammarota – hanno una prevalenza che va dall’1 al 5%. Ma accanto a questo, si stima che a livello globale non meno del 10-15% delle persone si auto-diagnostichi una ‘intolleranza al glutine’ (in Italia il 12%) e quindi auto-escluda il glutine dalla propria dieta. E questo riguarda soprattutto i millennial e la generazione Z (fino al 15% di autodiagnosi), mentre nei baby boomer il fenomeno si attesta al 4%”.

Una possibile spiegazione di questo boom di intolleranza al glutine potrebbe essere legata all’industrializzazione della produzione del frumento. “I meccanismi che possono indurre sensibilità al glutine– spiega il professor Cammarota – sono ben conosciuti; ma bisogna prendere in considerazione anche tante altre proteine contenute nel frumento, in grado di indurre una sensibilizzazione. Grande interesse è appuntato al momento sui cosiddetti ‘fattori anti-nutrizionali’ (ANF) del frumento, quali fitati, tannini, amylase/trypsin inhibitors (ATIs) e tanti altri”.

Queste proteine hanno la funzione specifica di proteggere del frumento dai suoi nemici naturali, ma allo stesso tempo possono rallentare la digestione delle proteine, dei carboidrati e delle molecole presenti nel frumento stesso, oltre che interferire con l’assorbimento di biomolecole (es. ferro e zinco), riducendone la biodisponibilità. Una modalità per neutralizzare questi anti-nutrizionali – prosegue il professor Cammarota – potrebbe essere ad esempio quella di prolungare i tempi di fermentazione del frumento, a temperatura controllata. Ma un aumento eccessivo della domanda, può portare ad una minore attenzione alla processazione del frumento; in questo caso questi anti-nutrizionali non vengono neutralizzati e possono provocare una cattiva digestione, ma anche innescare meccanismi infiammatori e di immunità innata nell’organismo”.

In altre parole, una domanda eccessiva da parte del mercato, può portare a una scarsa qualità della processazione del frumento. E questo potrebbe essere alla base dell’esplosione della cosiddetta ‘gluten sensitivity’, più che il glutine di per sé.

Ecco perché – conclude Cammarota – è così importante mettere insieme agrari e clinici (gastroenteologi, nutrizionisti, allergologi, ecc) per far convergere le diverse linee di ricerca su questo obiettivo e studiare la stessa problematica da punti di vista diversi”.

L’intervista – a cura di Maria Rita Montebelli – prosegue con un’interessante carrellata su alcuni punti chiave in tema di alimentazione e salute. Seguiamola in dettaglio.

Celiachia: è una patologia ben nota che riguarda l’1% della popolazione italiana (circa 600.000 persone, delle quali si stima che solo un terzo sia stato correttamente diagnosticato) e in crescita; insorge in soggetti geneticamente predisposti (portatori dell’aplotipo HLA DQ2/DQ8, ma il test genetico serve solo per escludere la diagnosi).

L’ingestione di prodotti (frumento, orzo, segale, farro, ecc.) contenenti gliadina (proteina del glutine) – spiega il professor Cammarota – scatena una risposta infiammatoria autoimmune che danneggia la mucosa intestinale e ne riduce la capacità assorbitiva. La diagnosi si basa sul sospetto clinico, sull’analisi sierologica degli anticorpi (anti-endomisio, anti-transglutaminasi di classe IgA e IgG, anti-gliadina deamidata), che va fatta mentre si segue una dieta libera e non gluten free e sulla conferma istologica con la biopsia dei villi duodenali, prelevati attraverso una gastro-duodenoscopia, che evidenzia l’atrofia dei villi intestinali (nei bambini per la diagnosi è sufficiente dimostrare la presenza di anticorpi anti-transglutaminasi superiori di dieci volte la norma). L’unico trattamento è rappresentato per ora da una dieta priva di glutine (gluten-free) che consente di ripristinare i tessuti intestinali danneggiati”.

Allergia al frumento: alcune persone possono presentare un’allergia ad una proteina del grano. È una vera allergia, una reazione immediata scatenata dalle IgE. Si può manifestare con reazioni orticariodi, prurito intenso, dolori addominali forti. Si manifesta in genere nei neonati e nella prima infanzia e tende a scomparire con la crescita. È presente in oltre un terzo dei bambini con dermatite atopica. Negli adulti si manifesta come ‘allergia al glutine del grano a reazione immediata o come anafilassi grano-dipendente indotta dall’esercizio fisico (WDEIA) e in questo caso è destinata a perdurare nel tempo. Il trattamento consiste in una dieta di esclusione dei prodotti del grano o in una terapia desensibilizzante al grano, ricorrendo anche ad antistaminici, cortisonici e farmaci biologici.

Sensibilità al glutine: è un capitolo molto vasto e molto insidioso (se la autodiagnostica fino al 12% degli italiani) e non ci sono marcatori diagnostici obiettivi in grado di intercettarla.

Il paziente – spiega il professor Cammarota –  riferisce sintomi (dolori addominali, gonfiore, nausea, mal di testa, sensazione di stanchezza, disturbi dell’alvo) a seguito dell’ingestione di glutine e si autodiagnostica questa ‘intolleranza’. Si tratta di una condizione molto diffusa, ma di difficile inquadramento diagnostico”.

La diagnosi dunque è solo clinica e si confonde con quella del colon irritabile e con i disturbi funzionali. Potrebbe avvalersi di un rechallenge (cioè di una risomministrazione) al glutine, che teoricamente andrebbe però fatta in doppio cieco (cioè né il paziente, né il medico dovrebbero sapere che gli alimenti somministrati contengono il glutine).

Sarebbe importante avere un dialogo continuo con la produzione – afferma il professor Cammarota – per cercare di variare la tipologia di frumento e di glutine e fare dei trial clinici controllati per capire se una certa lavorazione provochi o meno la comparsa dei sintomi.  Questa ondata di ‘sensibilità’ però, come ricordato, potrebbe non essere imputabile alla genetica del frumento (non sarebbe cioè una questione di grani ‘antichi’ o di grani ‘moderni’), quanto piuttosto alle moderne tecniche di produzione e di processamento. Interessante sarebbe anche andare a variare la tipologia del glutine all’interno del frumento, per individuare quello più immunogenico e in grado di stimolare la sensibilità. C’è insomma glutine e glutine, sia in termini di quantità che di qualità”.

Il frumento (o grano) è un cereale molto antico, una tra le prime piante utilizzate dall’uomo in campo alimentare e ancora oggi il cereale alla base della nostra dieta mediterranea. È fonte di circa metà delle calorie alimentari consumate in tutto il mondo ed è ricco di proteine, fibre, vitamine, minerali e antiossidanti.

Più recentemente, l’uso industriale di pesticidi, fertilizzanti a base di azoto, unitamente al miglioramento genetico, hanno permesso di aumentare la produttività del grano e di ottenere un glutine idoneo alla realizzazione di numerosi prodotti, alcuni dei quali caratterizzanti le zone geografiche di produzione.

La produzione sostenibile, con scarso apporto di sostanze chimiche, unitamente a progetti di espansione e utilizzazione della variabilità genetica del frumento, associati al mantenimento di una elevata qualità tecnologica e nutrizionale, sono quindi i principali target di interesse per il miglioramento del grano ai fini dell’uso alimentare umano.

 

 

 

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