La progressiva e costante innovazione tecnologica in Medicina ha nella mininvasività uno dei suoi più importanti traguardi. Procedure diagnostiche e chirurgiche, attuate con strumenti sempre più piccoli – per questo meno “aggressivi” per il paziente – e dotati di straordinaria precisione e maneggevolezza, anche grazie alle tecnologie digitali.
Ne parliamo oggi con i Proff. Cristiano Spada (Direttore UOC Endoscopia CEMAD) e Luigi Sofo (Direttore UOC Chirurgia Addominale Fondazione Gemelli IRCCS). La prima domanda per il Prof. Spada.
D. “Enteroscopia con video capsula: un profondo mutamento alla luce delle nuove tecnologie, ce ne vuol descrivere le caratteristiche?”
CS “L’endoscopia con video capsula sta impattando positivamente nel mondo delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI/IBD).
I nostri pazienti con morbo di Crohn o rettocolite ulcerosa ricorrono molto spesso a endoscopia e la video capsula ovviamente offre loro un vantaggio perché – piuttosto che fare l’endoscopia tradizionale, necessariamente più invasiva – possono disporre con la enteroscopia con video capsula di un’alternativa. La video capsula è in grado di esplorare quasi completamente l’intestino, quindi non solo il piccolo intestino ma anche intestino tenue e colon.
Ovviamente l’enteroscopia con video capsula non ha solo vantaggi: il suo limite principale è non poter attuare, per esempio, la biopsia, ma non escludiamo di poterlo superare in un futuro prossimo.
Le novità non finiscono qui: siamo in un mondo in cui l’intelligenza artificiale (AI) sta entrando prepotentemente nelle nostre sale endoscopiche e anche nella enteroscopia con video capsula, dove finirà presto per giocare un ruolo fondamentale.
Come CEMAD Gemelli abbiamo lavorato a uno studio, cercando di verificare, qual è (e quale potrà essere) l’impatto dell’intelligenza artificiale applicata all’endoscopia con video capsula, ottenendo risultati strepitosi.
Grazie all’AI, aumentiamo la nostra capacità di fare diagnosi, quindi vediamo meglio e riduciamo, in maniera significativa, i tempi di lettura.
Per ‘leggere’ una enteroscopia impieghiamo circa 30-35 o 40 minuti, con i sistemi di intelligenza artificiale scendiamo a circa 3 minuti, quindi vediamo meglio, di più e risparmiamo tempo per le nostre diagnosi.”
Il microfono passa al Prof. Sofo ““Professore grazie per rispondere a qualche domanda. Partiamo dall’approccio chirurgico alle MICI, cosa sta cambiando in questo campo?
LS “Classicamente in passato, e ancora oggi a volte – spesso in una situazione di scarsa informazione rispetto a questo tipo di malattie – si pensava che la chirurgia fosse l’ultima risorsa. Oggi le cose sono completamente cambiate, diciamo negli ultimi 10/15 anni c’è stata una vera e propria rivoluzione …”
D. “Perché Professore?”
LS “Per tante ragioni. A tutti gli effetti la chirurgia è diventata una parte integrante del trattamento per queste specifiche malattie e, come per molti altri campi della chirurgia, è ormai un trattamento multidisciplinare.
In medicina abbiamo assistito a due fenomeni apparentemente in contrasto: da un lato c’è stata un’evoluzione verso la super specializzazione, dall’altro c’è stato un impulso verso l’aggregazione di questi specialisti in team multidisciplinari.
Ci si è resi conto che – in molte situazioni – il trattamento chirurgico può essere utilizzato, soprattutto nella fase iniziale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.
I vantaggi? Per esempio, evitare gli effetti collaterali di malattie molto prolungate, chiudere un episodio terapeutico con la chirurgia in un tempo molto ristretto (es. un mese, un mese e mezzo) dove, al contrario, il trattamento medico può durare diversi anni.
Una delle rivoluzioni della chirurgia dell’IBD è la chirurgia mininvasiva. Una chirurgia che ha un’estrema attenzione alla conservazione dell’organismo e del corpo. Cosa significa? Non c’è più necessità di andare ad operare con enormi incisioni, enormi aggressioni, molto traumatiche.
Oggi si riesce a far tutto con la chirurgia laparoscopica e – ancor più modernamente, in situazioni specifiche – con la chirurgia robotica, un’altra delle nuove frontiere che si stanno aprendo in questo tipo di chirurgia.
Tutto questo consente di avere una chirurgia a basso impatto, a basso trauma, che può essere proposta al paziente in alternativa ad un trattamento medico.
Un esempio: un Crohn localizzato in un frammento molto piccolo d’intestino in una persona che ha 20 o 22 anni, potrebbe essere trattato con un trattamento di tipo medico, che però si protrarrebbe per due o tre anni. Perché non un trattamento chirurgico che chiude tutto in 3-4 settimane?
Gli studi hanno dimostrato come questo tipo di approccio, la ‘early surgery’ la chirurgica precoce, sia molto soddisfacente per il paziente: e certo questo è un aspetto a favore di questa chirurgia.
Un secondo razionale: la chirurgia in passato arrivava alla fine del percorso di cura, quando la persona era molto compromessa. Era una chirurgia che portava delle complicanze, importanti demolizioni di grossi tratti di intestino, in maniera evitabile. Ma alla base di ogni risultato, di ogni progresso, è lavorare in un centro ad alta esperienza, un centro che abbia grandi numeri e dove siano presenti tutte le competenze, mediche e chirurgiche, per scegliere la migliore opzione.
Al CEMAD, settimanalmente, noi abbiamo l’incontro tra specialisti chirurghi, gastroenterologi, radiologi, istopatologi e insieme decidiamo quand’è il momento di effettuare l’intervento chirurgico.
D. “Il concetto avanzato quindi, come in altre branche della medicina, è la sala ibrida, con il team interdisciplinare che lavora insieme?”
LS “La sala ibrida è uno strumento tecnico poter utilizzare in contemporanea varie tecnologie. Il trattamento multidisciplinare è decidere insieme la cura. Le tecniche chirurgiche poi sono migliorate anche per altre ragioni. Oggi noi in sala operatoria disponiamo delle radiofrequenze, degli ultrasuoni, sistemi che riducono enormemente il trauma chirurgico.
Fino a dieci anni fa, lo ricordo sempre, nel momento in cui si organizzava o si programmava un intervento chirurgico bisognava chiedere sempre del sangue perché si dava per scontato, per normalità di routine, che ci fosse una perdita ematica.
Oggi le perdite ematiche sono pochissime, grazie a sistemi che consentono di rendere la chirurgia molto meno traumatica. Certo, bisogna avere un’esperienza specifica: i chirurghi devono sviluppare una esperienza utile sia nel momento in cui si è in sala operatoria, sia per stabilire qual è il momento giusto per intervenire: un’altra chiave fondamentale per evitare complicanze.”