Il trapianto di Microbiota e le nuove prospettive diagnostiche dell’Endoscopia al centro di una lunga intervista realizzata con il Prof. Giovanni Cammarota (Direttore della U.O.C. di Gastroenterologia, CEMAD Gemelli IRCCS) con l’obiettivo di “fare il punto” su due aspetti così importanti per la diagnosi e la cura di numerose e rilevanti patologie dell’apparato gastrointestinale.
Domanda “Professor Cammarota, qual è lo ‘stato dell’arte’ sul trapianto del microbiota intestinale (FMT, da “faecal microbiota transplantation”)? CEMAD è un centro superspecializzato in questa metodica sulla quale attualmente abbiamo anche voci non del tutto concordi sull’utilità: qual è la sua opinione?
Prof. G. Cammarota “È giusto sia così perché ancora non è pratica clinica. Quando una procedura terapeutica non è ancora pratica clinica evidentemente ci sono ancora degli step da superare. Diciamo che era troppo presto per lanciarla qualche anno fa, quando si era ipotizzato questo tipo di procedura nell’ambito del trattamento delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI). Allo stesso modo, ora è troppo presto per dire che non funziona.
Ci sono grandi gruppi a livello internazionale che stanno lavorando su questo tipo di argomento e secondo noi, secondo la nostra esperienza al CEMAD, FMT è una procedura promettente, va presa per quello che è. Al momento, sappiamo che funziona in alcuni contesti clinici in maniera molto efficace.
D: “In particolare, quali?”
GC “Nell’infezione da Clostridioides difficile. È pratica clinica trattare le infezioni ricorrenti da Clostridioides difficile (un tempo conosciuto come Clostridium difficile), che è più frequente nei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali. In questo contesto è pratica clinica.
Questo tipo di infezione, nei pazienti con MICI, è più frequente e anche più difficile da trattare con la terapia antibiotica standard, quindi l’FMT – per alcuni pazienti – può rappresentare una opzione terapeutica molto interessante oltreché efficace.
Detto questo, il trapianto ha la potenzialità intrinseca di modulare il microbiota intestinale. Nelle MICI il microbiota intestinale è devastato, non sappiamo se una alterazione microbica (disbiosi) di un certo tipo possa essere alla base dell’insorgenza delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali oppure è essa soltanto un effetto della malattia infiammatoria e delle relative terapie che evidentemente sono in grado di incidere sulla composizione del microbiota intestinale.
In ogni caso, quindi, il tema della composizione microbiota è sicuramente di grande interesse e meritevole di intensa ricerca scientifica per chi si occupa in maniera specifica di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali. Avendo la FMT la possibilità intrinseca di modulare il microbiota è da prendere quanto meno in considerazione. È giusto però non lanciarlo in prima linea come pratica clinica: vanno fatte delle ricerche appropriate e rigorose per capire la tipologia dei pazienti che ne possono beneficiare e le modalità e tempistica del trattamento.
Peraltro, sono stati già fatti dei trial randomizzati controllati, ance se di piccola campionatura di pazienti, che hanno fatto vedere qualche risultato interessante. Gli studi che sono stati fatti finora si avvalgono di una o di alcune infusioni di un solo tipo di microbiota da donatore sano, ma – essendo la malattia una malattia cronica – bisogna verosimilmente ripetere le infusioni nel tempo.
Quindi si sta ragionando su come e quando ripeterla, a che cadenza, e in associazione con quali farmaci, e soprattutto la via maestra è quella di implementare la realizzazione delle capsule contenenti materiale microbico liofilizzato per poterlo somministrare in maniera cronica al paziente.
Vanno anche approfonditi i rapporti tra il set di batteri che andiamo ad infondere con quelli residenti nei pazienti che andiamo a trattare con FMT, e come questi favoriscano il cosiddetto “engraftment”, e cioè l’attecchimento nell’intestino del microbiota che infondiamo.
Sono tutti argomenti su cui dibatte la comunità scientifica, che richiedono studi e tempo, ma il quadro è molto promettente, molto suggestivo. L’utilizzo di batteri da materiale fecale da donatori sani, e somministrati attraverso la colonscopia, rappresenta una procedura ancora agli albori del suo potenziale sviluppo. Pensi invece alla possibilità futura di somministrare consorzi batterici specificatamente individuati, isolati da donatori sani, e finalizzati alla modulazione del microbiota intestinale nei pazienti con MICI.
Ad esempio, uno studio recentissimo, ha individuato un gruppo di batteri che inibiscono, limitano, l’efficacia della terapia con mesalazina. Pensi alla possibile ricaduta sul piano clinico. Tutto sta a modulare i batteri ancora una volta, far sì che quelli che inibiscono la mesalazina non ci siano, vengano in qualche modo eliminati, e “sostituiti” invece da batteri che non interferiscano negativamente con l’efficacia della mesalazina.”
D “Sul Clostridium, anche nei malati IBD, il trapianto è una pratica assolutamente positiva e consigliata?”
GC “Assolutamente. Abbiamo utilizzato FMT, con successo, per trattare diversi pazienti con MICI che avevano una infezione da Clostridioides difficile e resistente alla terapia antibiotica.
D “Cambiamo argomento Professore. Conosciamo l’endoscopia ma oggi si parla di diagnostica endoscopica innovativa: cosa può dirci in proposito?
GC “La diagnostica endoscopica innovativa, che può essere molto sfruttata nelle MICI, è quella ad alta risoluzione, quella che offre la possibilità di fare cromoendoscopia digitale.
La cromoendoscopia digitale, attraverso un software dedicato, ci permette di mettere in risalto degli aspetti fini endoscopici, di contrastarli bene e di individuarli nel corso dell’esame. Quando si parla di pazienti con colite ulcerosa di lunga data, il rischio di cancro è reale, tant’è che dopo un certo numero di anni di malattia si fanno dei controlli seriati colonscopici per individuare, prima possibile, i presupposti istologici allo sviluppo del cancro. E per questo motivo vengono per lo più normalmente effettuate biopsie multiple random della mucosa in corso di colonscopia.
Con la possibilità della cromoendoscopia digitale, abbiamo la possibilità di mettere in risalto e contrastare le aree a maggior rischio di evoluzione, di mirare le biopsie, e quindi fare una prevenzione molto più efficace”.