ll mio amico in fondo al mare (My Octopus Teacher) è un film documentario del 2020, prodotto da Netflix (dove possiamo vederlo dallo scorso settembre) e premiato con il Premio Oscar al Migliore Film Documentario nel 2021. Il film è basato sulla reale “amicizia” che, nel corso di un anno, il regista sudafricano Craig Foster costruisce con un polpo comune (e selvatico) in una foresta di alghe nel golfo di Cape Town.
Il titolo originale inglese è “My Octopus Teacher” (letteralmente “Il mio maestro Polpo”) e proprio alla grande notorietà che l’Oscar ha dato a questo interessantissimo (e molto intelligente, secondo i parametri umani) animale dobbiamo l’attenzione che i media stanno dando alla paventata creazione di nuovi allevamenti intensivi proprio per i polpi. Con tutte le conseguenze del caso per loro… e per noi. Vediamo perché.

“… né le caratteristiche biologiche né il sentimento di amicizia sembrano essere prevalenti attorno a questo strano e affascinante animale che si appresta a diventare il nuovo salmone, allevato in grandi quantità in gabbie in mare aperto o in aree confinate per andare incontro alla sempre maggiore richiesta proveniente dal mercato alimentare” scrive il Corriere della Sera, che prosegue “ultimamente è cresciuta in maniera esponenziale la domanda da nazioni popolose come gli Stati Uniti o il Giappone. Come sempre, all’aumento della domanda, se l’offerta resta costante, corrisponde un aumento dei prezzi e di conseguenza dei profitti. Di qui il tentativo di implementare la produzione di polpi utilizzando le stesse tecniche di acquacoltura già impiegate per salmoni, branzini e orate”.
Di acquacoltura intensiva ci eravamo già occupati a proposito del salmone, con un video sulle modalità di allevamento intensivo e le loro conseguenze, sia sulla salute degli animali sia, conseguentemente, dei consumatori.
Un esempio: la antibiotico-resistenza, favorita dal massiccio impiego di questo tipo di farmaci, come nell’inchiesta di Huffington Post sui “macelli ittici”. Eccone un passaggio: “L’Italia, oltre a essere uno dei principali importatori di carne di salmone scozzese, è collegata anche a un altro mercato di pesce in crescita: quello indiano…L’India è il secondo produttore di pesce al mondo dopo la Cina, e copre oltre il 6.3% della produzione mondiale, con collegamenti in tutto il mondo.
“Gli allevamenti intensivi (in India NDR) infatti presentano un enorme problema a livello di utilizzo indiscriminato di antibiotici: l’India è il paese con il maggior tasso di antibiotico-resistenza, eppure qui nell’acquacoltura vengono utilizzati in modo molto massiccio, a causa dei numerosi virus e batteri che popolano l’acqua delle vasche intensive.”
E ora è proprio il nostro “amico in fondo al mare” il polpo a rischiare grosso, continuiamo a leggere il Corriere della Sera su quanto potrà succedere a breve “… i polpi sono animali solitari e sarebbe assolutamente contro la loro natura crescere e svilupparsi in una comunità di migliaia di esemplari ristretti in poche decine di metri cubi di gabbia o di vasca: il rischio è lo sviluppo di comportamenti aggressivi e cannibalismo…I polpi poi sono carnivori e per alimentarne decine di migliaia negli allevamenti servirebbero mangimi a base di farine di pesce in grande quantità: per allevare polpi, in sostanza, bisognerebbe depredare il resto della fauna marina, come peraltro già avviene per l’allevamento di altre specie di pesci.

Questo oltretutto sarebbe incompatibile con gli orientamenti della Unione Europea che punta a ridurre l’allevamento di specie che richiedono di essere alimentate con farine di pesce e simili. I polpi hanno poi sempre vissuto liberi e non si conoscono le reazioni all’allevamento in spazi confinati. Sono inoltre molto fragili per cui è probabile che nel sovraffollamento di un allevamento finiscano per ferirsi e sviluppare patologie.”
Uno scenario assolutamente sovrapponibile, e semmai anche peggiore, di quello degli allevamenti intensivi di ovini, bovini e fauna avicola. Appunto in tema di danni alla salute umana favoriti dall’allevamento di razze animali finalizzato al consumo di carne, ecco cosa scrive in proposito Il Consumatore.com
“Il Covid ha riportato in auge il timore delle infezioni e dei contagi, che possono essere trasmessi da uomo a uomo, da animale ad animale, e da animale a uomo. Questo effetto viene chiamato genericamente “zoonosi”.
Gli allevamenti intensivi” prosegue l’articolo “a causa del malessere dell’animale, sono più soggetti al verificarsi di infezioni e contagi, che talvolta possono contaminare l’uomo attraverso l’ingestione di cibo di derivazione animale. L’esperienza ha confermato che alcune malattie, come la mucca pazza e l’influenza aviaria, possono comportare serie conseguenze sulla salute umana a partire dall’errata gestione degli allevamenti destinati al macello. Contemporaneamente, la coltivazione di cereali per alimentare gli animali sottrae terreno ad altri tipi di agricoltura, che in alcune zone diventa monocoltura. La biodiversità nella coltivazione è essenziale per avere terreni sani.
Se la terra è sana, il prodotto coltivato necessita di minori trattamenti e pesticidi, che inevitabilmente si ritrovano sulla tavola.”




