Arriva da Shanghai un articolo pubblicato su Gastroenterology (1) a firma di Jinyang Gu (Università di Shanghai) e colleghi, che fa il punto sulle manifestazioni gastrointestinali del COVID-19 e sulle possibilità di trasmissione oro-fecale di questa infezione.
Già gli studi condotti in passato sul virus della SARS (SARS-CoV) avevano segnalato l’individuazione di quest’altro coronavirus, stretto parente dell’attuale SARS-CoV2 nelle biopsie dell’apparato digerente e nelle feci, anche di pazienti già dimessi. Questi riscontri forniscono peraltro anche una spiegazione dei sintomi gastrointestinali che presentano alcuni pazienti affetti da COVID-19 (es. nausea e diarrea), come anche di un possibile trasmissione per via oro-fecale del virus, eliminato nell’ambiente dai pazienti. L’RNA del virus SARS-CoV2 è stato individuato sia nelle feci che nella saliva dei soggetti che hanno contratto l’infezione. E tutto ciò porterebbe a pensare – commentano gli autori dello studio – che, oltre all’apparato respiratorio, anche quello gastro-intestinale possa rappresentare una via di infezione, da parte non solo dei casi COVID riconosciuti, ma anche dei soggetti contagiati ma asintomatici e di quelli con lievi sintomi gastrointestinali in fase precoce di malattia.
La porta d’ingresso del virus (i recettori ACE2) è presente anche in vari tratti dell’apparato gastrointestinale
E’ noto che il virus SARS-CoV-2 entra nelle cellule legandosi ai recettori ACE2, ampiamente espressi nelle cellule polmonari, ma anche nelle cellule dell’esofago e in quelle dell’intestino (in particolare ileo e colon). Una volta che il virus ha infettato le cellule intestinali, può comparire diarrea, anche se ad oggi non è ancora chiaro il meccanismo attraverso il quale il virus provoca sintomi gastrointestinali.
In alcuni pazienti con infezione da COVID-19 sono stati osservati anche segni di danno epatico, testimoniati da un aumento delle transaminasi, da una ipoproteinemia e da un prolungamento del tempo di protrombina. Fino al 60% dei pazienti colpiti da SARS mostrava segni di danno epatico. L’epato-tossicità associata a SARS potrebbe rappresentare una vera e propria forma di epatite virale, ma anche un effetto secondario della terapia medica (indotto da anti-virali, antibiotici e steroidi) o essere frutto di una reazione ‘esagerata’ del sistema immunitario. E l’interessamento del fegato in corso di infezione da COVID non sorprende, visto che è stata riscontrata un’elevata espressione dei recettori ACE2 sui colangiociti (le cellule che tappezzano i dotti biliari), ma non sugli epatociti.
Gli autori consigliano dunque di prestare molta attenzione ai sintomi digestivi precoci (nausea, diarrea) perché possono aiutare a fare diagnosi rapidamente e quindi al trattamento e all’isolamento di un paziente con infezione da COVID-19.
Maria Rita Montebelli
Fonte: Gastroenterology – COVID-19: Gastrointestinal manifestations and potential fecal-oral transmission
Posso fare un esame endoscopico in questo periodo?
La vita e gli esami diagnostici, anche se in maniera ridotta, continuano ad essere effettuati anche in questo momento d’emergenza. Ma la prudenza non è mai troppa ed è necessario dunque mettere dei punti fermi, per evitare di incorrere in brutte sorprese.
L’argomento ‘endoscopie digestive’ è stato affrontato negli ultimi giorni da un lavoro pubblicato su Gastrointestinal Endoscopy dal professor Alessandro Repici e colleghi del gruppo dell’Unità di Endoscopia Digestiva dell’Humanitas di Rozzano (Milano).
I dipartimenti di endoscopia corrono rischi significativi di diffusione di malattie respiratorie che possono diffondere per via aerea (ad esempio attraverso l’aspirazione di materiale orale o fecale attraverso gli endoscopi). L’articolo dei ricercatori italiani fa un focus specifico sul misure di protezione personale e sulle modalità di vestizione per prevenire il rischio di un’ulteriore diffusione del contagio da COVID-19.
Gli autori consigliano di intervistare tutti i pazienti da sottoporre ad endoscopia il giorno prima, per verificare che non abbiano sintomi di infezioni respiratorie e per fissare eventualmente un nuovo appuntamento, qualora malattia e condizioni del paziente lo permettano. Le domande che l’infermiera del triage dovrebbe porre sono: negli ultimi 14 giorni ha avuto febbre (temperatura > 37,5°), tosse, mal di gola, problemi respiratori? Lei o la sua famiglia siete stati in stretto contatto con un caso sospetto o confermato di COVID-19? Proviene da un’area a rischio?
Sarà bene inoltre controllare la temperatura del paziente prima di avviarlo alla procedura e rinviare tutti quelli che presentino una temperatura superiore a 37°. Da questo screening preliminare i pazienti vengono classificati come a basso, medio, alto rischio.
L’ingresso al dipartimento di endoscopia è ovviamente precluso a familiari e accompagnatori. Una volta effettuato l’esame gli autori raccomandano un follow-up telefonico con triage dedicato a 7 e a 14 giorni dopo la procedura endoscopica.
Dispositivi di protezione Individuali (DPI)
Uno degli elementi più importanti è la mascherina. Come misura generale, dal 4 marzo 2020, L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda agli operatori di utilizzare le maschere N95/FFP2/FFP3, mentre tutto il personale non in stretto contatto con i pazienti deve indossare una mascherina medica per tutto il tempo di permanenza in ospedale.
Anche i pazienti che entrano nell’unità di endoscopia dovrebbero indossare una maschera chirurgica; quelli a rischio medio-alto dovrebbero indossare mascherina chirurgica e guanti. La maschera andrà rimossa subito prima di iniziare la procedura e va nuovamente indossata una volta finito l’effetto della sedazione/narcosi.
Fonte: Coronavirus (COVID-19) outbreak: what the department of endoscopy should know