Il SARS-CoV-2 infetta le cellule dell’ospite attraverso i recettori ACE2, determinando in questo modo la polmonite correlata a malattia da coronavirus (COVID-19); ma il virus può determinare anche un danno miocardico acuto (in più di un paziente su dieci) o danneggiare in maniera cronica il sistema cardiovascolare, alterando il metabolismo lipidico e glucidico. Per questo motivo gli esperti raccomandano di prestare grande attenzione all’apparato cardiovascolare nel corso di questa infezione.
Vanno evitate in particolare pericolose fughe in avanti; in questi giorni si è scritto molto, soprattutto sui social media, sulla presunta pericolosità di farmaci quali ACE-inibitori e sartani, ampiamente utilizzati dalla popolazione generale per ipertensione arteriosa o scompenso cardiaco. Fare terrorismo psicologico in questo momento è veramente molto particolare.
La Società Italiana di Cardiologia prima e la Società Europea di Cardiologia (ESC) negli ultimi giorni hanno pubblicato uno statement in proposito. “Vista l’amplificazione della notizia su una presunta pericolosità di questi farmaci – scrive l’ESC in un position statement – molti pazienti in trattamento con ACE-inibitori o sartani li hanno spontaneamente sospesi. Questa speculazione sulla sicurezza di questi trattamenti in relazione al COVID-19 non ha una base scientifica solida o prove che la sostengano. Al contrario, studi animali suggeriscono che questi farmaci potrebbero avere un effetto protettivo contro le gravi complicanze polmonari nei pazienti con infezione da COVID-19, anche se al momento non si dispone di dati sul’uomo. Il Council of Hypertension (diretto dal professor Giovanni De Simone) raccomanda dunque fortemente che medici e pazienti continuino il trattamento con i loro farmaci antipertensivi abituali perché non ci sono evidenze cliniche o scientifiche a suggerire che il trattamento con ACE-inibitori o sartani debba essere sospeso a causa dell’infezione da COVID-19”.
Gli esperti della Società Italiana di cardiologia, in una nota pubblicata negli ultimi giorni, ricordano che “i pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) che sono infetti da SARS-CoV-2 hanno spesso una prognosi sfavorevole. Nei pazienti con SCA, la riserva funzionale cardiaca può essere ridotta a causa di ischemia miocardica o necrosi. In caso di infezione da SARS-CoV-2, è più probabile che si verifichi insufficienza cardiaca, con conseguente improvviso deterioramento delle condizioni di questi pazienti” e in relazione alla questione ACE-inibitori/sartani la Società Italiana di Cardiologia afferma: “che, esclusivamente nei pazienti affetti da Covid-19, il problema relativo alla sostituzione di questi farmaci, nel caso dell’ipertensione arteriosa, rimane controverso. Inoltre, la sospensione di ACE-inibitori o sartani in soggetti affetti da Covid 19 non è documentata in quelle condizioni cliniche (come la disfunzione ventricolare) nelle quali gli inibitori del sistema RAS hanno dimostrato una riduzione della mortalità e morbilità. Questa problematica di utilizzo degli inibitori del sistema RAS non si riferisce alla popolazione generale, e vista la preoccupazione crescente su tale argomento soprattutto da parte dei pazienti è necessario sottolineare che l’utilizzo dei sartani e degli ace-inibitori non è controindicato nei soggetti non affetti da Covid 19”.
Anche le società americane di cardiologia – American Heart Association (AHA), American College of Cardiology (ACC) e Heart Failure Society of America (HFSA) – si sono pronunciate al riguardo: pazienti in terapia con ACE-inibitori o con sartani, anche se affetti da infezione da COVID, devono proseguire il trattamento, a meno che non consigliati diversamente dal loro medico. Le società scientifiche americane raccomandano dunque che tutti i pazienti in trattamento con questi farmaci, per qualsiasi indicazione (ipertensione, scompenso cardiaco, cardiopatia ischemica), proseguano la terapia. I pazienti con infezione da COVID-19 dovrebbero essere valutati con attenzione prima di aggiungere o sospendere qualunque terapia; qualunque modifica al piano di trattamento si deve basare esclusivamente su evidenze scientifiche certe o su decisioni condivise tra il loro medico e il team di cura.
“Comprendiamo le preoccupazioni dei pazienti (è evidente che le persone con malattie cardiovascolari sono a più elevato rischio di gravi complicanze in caso di infezione da COVID-19) – affermano gli esperti americani – Tuttavia abbiamo passato in rassegna le ultime ricerche e le evidenze disponibili non confermano la necessità di sospendere ACE-inibitori o sartani; raccomandiamo dunque ai medici di considerare le esigenze individuali di ogni paziente prima di modificare i regimi di trattamento con ACE-inibitori o sartani”.
La storia della malattia da COVID-19 è dunque ancora tutta da scrivere e ogni giorno le principali riviste scientifiche internazionali aggiungono preziose informazioni in merito. A fare il punto su infezione da COVID-19 e sistema cardiovascolare hanno provveduto di recente Ying-Ying Zheng e colleghi del dipartimento di cardiologia della Zhengzhou University (Cina) su Nature Reviews Cardiology.
Polmoni e cuore: i principali bersagli del COVID-19
Le manifestazioni cliniche dell’infezione da COVID-19 sono dominate dai sintomi respiratori, ma alcuni pazienti presentano anche complicanze cardiovascolari, inoltre – scrivono gli autori della review – alcuni pazienti con patologie cardiovascolari concomitanti potrebbero essere ad aumentato rischio di mortalità. E’ molto importante dunque comprendere attraverso quali meccanismi il COVID-19 danneggia l’organismo, per trattare questi pazienti in maniera tempestiva ed efficace, con l’obiettivo di ridurne la mortalità.
ACE-2: quando un recettore diventa il ‘tallone d’Achille’ delle cellule
L’ACE-2 (angiotensin-converting enzyme 2) è un enzima (un’aminopeptidasi) che gioca un ruolo importantissimo a livello dei sistemi cardiovascolare e immunitario. È coinvolto nel funzionamento del cuore, oltre che nello sviluppo di ipertensione e diabete. Ma di recente è stato evidenziato anche che l’ACE-2 rappresenta un recettore funzionale per i coronavirus come il SARS-CoV e il SARS-CoV-2; il recettore ACE-2 è infatti la ‘serratura’ nel quale il virus infila le ‘punte’ della sua corona (la cosiddetta proteina ‘spike’) per entrare nelle cellule e infettarle. L’ACE-2 è presente soprattutto in alcuni tessuti, come cuore e polmoni (ma un recente studio ha identificato questo recettore anche sulle cellule della mucosa della bocca, in particolare sulla lingua, e a livello dell’intestino). L’invasione delle cellule degli alveoli polmonari da parte del SARS-CoV-2 determina i sintomi della polmonite. La polmonite da COVID-19 è spesso molto aggressiva nei soggetti con malattie cardiovascolari. Un fenomeno questo che secondo alcuni potrebbe essere legato all’impiego di alcuni classi di farmaci, come gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, che aumentano l’espressione di ACE-2.
Ma allora come comportarsi nei pazienti con infezione da COVID-19 o nella popolazione a rischio? ACE-inibitori e sartani possono avere qualche ruolo nel determinare la gravità dell’infezione o nel favorirla tout court? Gli autori della review non sono in grado di dare una risposta a queste domande, né a quella molto più importante, cioè se i pazienti ipertesi in terapia con ACE-inibitori o sartani debbano essere trattati con un’altra categoria di farmaci antipertensivi. Per rispondere a queste domande saranno necessari nuovi studi.
Cuore KO in un paziente su 10 con infezione da COVID-19
I pazienti colpiti da MERS-CoV, un’altra infezione da coronavirus che ha causato una piccola epidemia nei Paesi del Medio-Oriente una decina di anni fa, presentavano a volte anche una miocardite e una forma di scompenso cardiaco. Anche il SARS-CoV-2 può dare queste complicanze cardiovascolari e questo può rendere più complessa la gestione di questi pazienti. In diversi pazienti ricoverati a Wuhan si è osservato un danno miocardico acuto, caratterizzato da un aumento di troponina I ad elevata sensibilità e di CK-MB; per alcuni di loro il danno è stato di entità tale da richiedere il ricovero in terapia intensiva. I soggetti in terapia intensiva presentavano livelli di pressione arteriosa decisamente più alti degli altri pazienti. Gli autori del lavoro ricordano anche che alcuni dei pazienti, in seguito confermati positivi all’infezione da COVID-2, si erano recati inizialmente dal medico solo per sintomi cardiovascolari (palpitazioni, senso di costrizione toracica), senza presentare sintomi respiratori (febbre e tosse).
Secondo i dati riferiti dalla National Health Commission of China (NHC), l’11,8% dei pazienti senza cardiopatie pregresse note, in occasione dell’infezione da COVID-19 ha presentato un importante danno miocardico (elevati livelli di troponina, arresto cardiaco durante il ricovero). La risposta infiammatoria sistemica e i disturbi del sistema immunitario durante la progressione dell’infezione potrebbero essere alla base del coinvolgimento cardiovascolare. Anche in questo caso il ‘tallone d’Achille’ del paziente potrebbero essere i recettori ACE2, espressi non solo nei polmoni, ma anche nel sistema cardiovascolare. Altre ipotesi per spiegare il danno cardiaco sono: la ‘tempesta citochinica’, (scatenata da una risposta squilibrata da parte delle cellule T helper di tipo 1 e 2) o l’insufficienza respiratoria con ipossiemia causate dall’infezione, che possono danneggiare le cellule del miocardio.
Coronavirus: conseguenze anche a lungo termine sulla salute dell’apparato cardiovascolare
Siamo ancora nel pieno dell’epidemia da COVID-19 e non disponiamo dunque di una finestra temporale di osservazione delle conseguenze a lungo termine. Ma può essere utile andare a vedere cosa è successo ai pazienti che, all’inizio del secolo, hanno presentato un’infezione da SARS-CoV. Dopo 12 anni di osservazione, 7 pazienti su 10 presentavano dislipidemia, 6 su 10 disturbi del metabolismo glucidico e il 44% alterazioni cardiovascolari.
Pazienti con cardiopatia pre-esistente
L’infezione dal MERS-CoV colpiva più di frequente i pazienti con problemi cardiovascolari preesistenti; nelle forme gravi di MERS-CoV, il 50% dei pazienti era iperteso e diabetico e il 30% cardiopatico. Analogamente sono gli anziani con varie comorbilità i pazienti con le maggiori probabilità di essere contagiati dal SARS-CoV-2, in particolare quelli con ipertensione, diabete e coronaropatie; i cardiopatici sono quelli più a rischio di forme gravi. Ciò significa che i pazienti con malattie cardiovascolari sono ad elevato rischio di mortalità da infezione da COVID-19. Secondo i dati NHC il 35% dei pazienti deceduti a seguito di infezione da SARS-CoV-2 era iperteso e il 17% era affetto da cardiopatia ischemica.
Particolarmente a rischio di mortalità sono i pazienti con infezione da COVID-19 e sindrome coronarica acuta, ma anche nei soggetti con scompenso cardiaco, l’infezione da COVID-19 può rappresentare un fattore precipitante e condurre a morte.
Un altro rischio per la salute del cure viene dall’impiego di alcuni farmaci antivirali che possono determinare scompenso cardiaco, aritmie e altri problemi. Il rischio di tossicità cardiaca – raccomandano gli autori – va monitorato con attenzione.
Autore: Maria Rita Montebelli