Cibi lavorati (in inglese processed food), piatti pronti, alimenti confezionati: ovunque sentiamo dire che andrebbero limitati. Ma siamo sicuri di sapere cosa sono? E che effetti provocano sulla salute?
Cibo lavorato e “ultra lavorato”: che cos’è
Un cibo non lavorato è un alimento in cui le vitamine e tutti gli elementi nutritivi sono ancora intatti: un alimento, cioè, che consumiamo nella sua forma naturale, o quasi. Una minima manipolazione può essere necessaria, ad esempio, per eliminare le sue parti non edibili, oppure ancora per renderne possibile il consumo o la conservazione. In questa categoria rientrano gli alimenti che vengono essiccati, sminuzzati, arrostiti, bolliti, congelati o pastorizzati. Per fare alcuni esempi: le carote, le mele, il pollo crudo, la frutta secca e i semi non salati.
Esistono poi dei processi che modificano lo stato naturale di un alimento. Ad esempio, l’aggiunta di sale, olio, zucchero o altre sostanze. Tra gli alimenti che subiscono questi processi vanno ricordati il pesce o la verdura in scatola, la frutta sciroppata. La maggior parte del cibo che troviamo già confezionato contiene due o tre ingredienti.
Alcuni cibi ancora, invece, sono maggiorente lavorati e contengono molti più ingredienti aggiunti come zucchero, sale, grassi, coloranti artificiali e conservanti. La maggior parte contiene sostanze estratte da altri alimenti, come amidi, grassi, zuccheri e grassi idrogenati. Possono contenere anche additivi come coloranti e aromi artificiali o stabilizzanti. Un esempio sono i piatti pronti surgelati, le bevande gassate, i wurstel e gli affettati, i biscotti confezionati, le torte e gli snack salati.
Secondo uno studio pubblicato sul BMJ, i cibi altamente lavorati sono la maggiore fonte di calorie nella dieta degli americani (58%), e contribuiscono a quasi il 90% dell’energia che proviene dagli zuccheri aggiunti.
Cibi lavorati: che effetti hanno sulla salute?
Un recente studio pubblicato sulla rivista Cell Metabolism ha confrontato gli effetti – in termini di introito calorico e aumento di peso – di un’alimentazione ricca di cibi lavorati con quelli di una dieta a base di cibi non trattati. Lo studio ha coinvolto 20 adulti sani in sovrappeso, in una struttura adibita appositamente. Ogni partecipante allo studio ha seguito una dieta ricca di cibi lavorati per 14 giorni, seguiti da 14 giorni in cui la dieta era ricca di alimenti naturali, non lavorati. In ognuna delle due fasi, i soggetti avevano a disposizione tre pasti al giorno, e potevano mangiare quanto volevano. Il tempo a disposizione per ogni pasto era di 60 minuti; durante la giornata venivano messi a disposizione degli snack (naturali o lavorati, a seconda della fase corrispondente).
I pasti erano equivalenti in termini di calorie totali, contenuto in grassi, carboidrati, proteine, fibre, zuccheri e sodio. La grande differenza era la fonte delle calorie: nella dieta con alimenti lavorati, l’83,3% delle calorie veniva da cibi lavorati; in quella a base di alimenti naturali, erano questi alimenti a fornire l’83,3% delle calorie totali.
I ricercatori hanno scoperto che i soggetti consumavano circa 500 calori in più al giorno durante la dieta a base di alimenti lavorati, rispetto a quella a base di alimenti non lavorati. Nel primo periodo, infatti, si registrava un aumento nell’assunzione di carboidrati e grassi, ma non di proteine. Il peso dei partecipanti aumentava in media di circa 1 chilo durante la dieta a base di alimenti lavorati, chilo che nella dieta successiva a base di prodotti naturali venivano persi. Le conclusioni dei ricercatori sono state che limitare i cibi confezionati possa essere una strategia efficace per prevenire e per trattare l’obesità.
Lo studio esaminato ha, in effetti, dei limiti. Erano coinvolti solo 20 partecipanti, questo significa uno studio molto piccolo. Inoltre, la reazione individuale alle due diete registrava delle significative differenze. Undici persone avevano preso molto peso durante la dieta con prodotti confezionati – fino a 6 chili in 14 giorni – mentre una piccola parte di partecipanti non ha avuto nessun aumento di peso. Non è chiaro, inoltre, come questi risultati possano estendersi alla popolazione generale, perché lo studio non ha incluso persone con patologie croniche come il diabete o le malattie cardiovascolari. Inoltre, è stato svolto in ambiente protetto, e questo può aver influenzato il comportamento alimentare dei soggetti – che potrebbero essersi sentiti isolati o annoiati, rispetto al loro ambiente naturale.
Un altro studio, pubblicato sul BMJ, ha esaminato le abitudini alimentari di oltre 10.000 francesi adulti lungo cinque anni. I ricercatori hanno scoperto che chi consumava alimenti lavorati aveva un rischio di malattie cardiovascolari e malattie cerebrovascolari più alto. Questi risultati restano statisticamente significativi anche dopo che i ricercatori hanno aggiustato la qualità nutrizionale della dieta (considerando fattori quali il quantitativo di grassi saturi, sodio, zucchero e fibre). Anche se gli studi osservazionali non sono dimostrazione di causa-effetto, la ricerca suggerisce un’associazione tra diete ricche di prodotti lavorati e malattie cardiovascolari.
Impariamo a capire quali sono i cibi lavorati
Se possibile, occorre evitare o limitare i cibi molto lavorati. Consideriamo gli esempi in questa tabella per aiutarci a capire se un alimento è minimamente, lavorato o ultra-lavorato.
Minimamente lavorato | Lavorato | Ultra-lavorato |
Mais | Mais in scatola | Chips di mais |
Mela | Succo di mela | Torta di mele pronta |
Patata | Patate al forno | Patatine fritte |
Carota | Succo di carota | Torta di carote pronta |
Grano | Farina | Biscotti |
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